“Sunday blues”: il malessere domenicale

Nonostante la domenica sia per eccellenza il giorno dedicato al riposo e al tempo libero, esiste un fenomeno definito dagli anglosassoni “Sunday blues”, indicante un vago senso di tristezza, malinconia, noia o inquietudine, che può comparire la domenica, soprattutto nel pomeriggio. Secondo gli studi anglosassoni, i più colpiti dalla sindrome domenicale sono coloro che dispongono di sabato e domenica interamente liberi, vivendo dunque uno stacco netto rispetto alla settimana lavorativa. Esistono varie spiegazioni al riguardo.
La più diffusa riguarda l’approssimarsi del lunedì, dunque il cominciare a pensare preventivamente alla settimana di impegni che ci aspetta, magari a uno particolarmente gravoso in vista; laddove a qualcuno, il rimuginare anticipatorio rispetto a qualcosa di impegnativo, dà la sensazione, rassicurante sul momento, di prepararsi meglio. Oppure, soprattutto se si svolge un lavoro poco gratificante, o si affronta un periodo problematico sul lavoro, si sospira pensando al weekend appena terminato.
Un’altra spiegazione starebbe nel calo adrenalinico post-performance: dopo una settimana di intenso lavoro, ci fermiamo e cala l’attivazione psicofisiologica, si ha una sorta di “rilascio” che può essere percepito anche dal punto di vista dell’umore sotto forma di apatia o tristezza.
Esiste inoltre l’effetto “festa comandata”, che può valere tanto per le festività annuali quanto, pur in misura ridotta, per la domenica. In questo frangente confluiscono due aspetti. Uno riguarda l’applicazione del “dovere” alle emozioni o ai bisogni: “devo essere felice, o rilassato”, perché si tratta dell’unico giorno libero che si ha a disposizione e quindi va goduto a pieno, oppure deve poter essere investito e “spremuto” più possibile, facendo qualcosa di necessariamente produttivo. L’altro riguarda il confronto sociale, ossia si pensa, erroneamente, che tutti siano felici e sereni nel giorni di riposo, e ci si sente in divario, se non proprio in difetto, rispetto alla “norma” ideale.
Infine, mettendo da parte i contesti di reale solitudine, pur essendo contornati dagli affetti, si può entrare più in contatto con il proprio mondo interiore, e con pensieri o sentimenti rispetto ai quali, durante la settimana lavorativa, ci si “distrae” di più. Mentre i giorni lavorativi sono  più strutturati e scandiscono il tempo secondo certi ritmi e certi scopi, nel tempo libero ci si ritrova faccia a faccia con i propri tempi e avvenimenti interiori. Può emergere con più facilità un senso di vuoto, o di insoddisfazione, una discrepanza tra ciò che la nostra vita è e ciò che vorremmo che fosse. O dei pensieri, stati d’animo, rispetto a qualcosa di spiacevole o di irrisolto.
Che fare?
  • Innanzitutto accogliere i propri stati d’animo senza colpevolizzarsi o sentirsi “anomali”, cercare di identificarli e comprenderne il perché. Riflettere sul fatto che ciò che pensiamo circa stati d’animo ideali (“dovrei sentirmi così”), è frutto di distorsione: non ci sono regole nel sentire umano, né è realistico che tutti vivano qualcosa allo stesso modo, nemmeno nelle cose idealmente piacevoli, nonostante le apparenze o i preconcetti. Ogni emozione ha una sua ragion d’essere ed è un messaggio che merita di essere letto. E’ inoltre uno stato transitorio, al quale possiamo impedire di dominarci e di espandersi a macchia d’olio oltre la sua naturale portata. Come? Intanto accogliendolo, come una sorta di ospite che viene a raccontarci qualcosa di noi, e che poi ripartirà 🙂
  • Per quanto riguarda il rimuginare anticipatorio rispetto agli impegni della nuova settimana, l’esclusivo pensare spesso non aiuta: una relativa attivazione per una prova da affrontare può migliorare la futura performance, nella misura in cui offre la spinta per prepararsi attraverso azioni concrete; un pensare fine a se stesso, invece, rischia di far aumentare l’ansia oltremodo e a vuoto, senza benefici concreti.
  • Se il Sunday blues è la spia che si sta attraversando un periodo particolarmente stressante sul lavoro, è forse arrivato il momento di fermarsi e cercare, per quanto possibile nel proprio raggio di azione, di defaticare, delegare, cercare supporto. Ricordando che lo stress lavorativo è un pericolo per la salute psicologica e fisica, che carichi eccessivi possono portare un conto salato da pagare, e il tutto potrà finire comunque con l’inficiare anche la performance lavorativa.
  • Un sano “ozio” alle volte è davvero benefico e, sul lungo termine, più produttivo di azioni “fattive”, che per quanto connesse al tempo libero, possono stancare ugualmente. Anche in questo caso non sovraccaricarsi, non colpevolizzarsi per non aver fatto niente di operativo, poiché l’essere umano non è una macchina; e concedersi i giusti tempi di recupero e rigenerazione, anche in un piacevole “far niente”, dalle potenzialità benefiche e creative.
  • Infine, se cogliamo dentro di noi qualcosa di irrisolto, di sofferente oltremodo, di insoddisfacente, che non arricchisce e anzi “svuota” la propria vita, è l’occasione per identificarne la natura e meditare di effettuare un cambiamento, tenendo a mente che c’è sempre “un’altra via”, e un primo passo in questo senso è già un bel dono che facciamo a noi stessi, per le domeniche e tutti i giorni che verranno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *