Neuropsicologia e psicologia dell’invecchiamento

“Parlami e dimenticherò, mostrami e forse ricorderò, coinvolgimi e comprenderò”

Mi sono molto appassionata alla sfera psicoaffettiva della terza e quarta età, ai processi dell’invecchiamento quando sono sani e quando, purtroppo, possono essere compromessi dal presentarsi di una patologia a carico della mente e del cervello, oppure da difficoltà di natura psicosociale.

Un versante di attività riguarda appunto il sostegno psicologico per le difficoltà evolutive connesse a queste fasi della vita e ai rispettivi cambiamenti, implicazioni, condizioni che talvolta possono generare smarrimento e/o sofferenza (ad esempio il pensionamento, la perdita del coniuge, la presenza di una patologia cronica o invalidante…).

In altra parte mi occupo di potenziamento della memoria, rivolto a titolo preventivo a chi sente l’esigenza di tenere allenate le proprie capacità mnemoniche, oppure a soggetti con “deterioramento cognitivo lieve”, una condizione caratterizzata appunto da lievi deficit di memoria o di altra facoltà, senza rilevante impatto funzionale e ancora reversibile, tuttavia riconosciuta come fattore di rischio per lo sviluppo di demenza (percentuale di conversione annua del 10-15%). Infine, effettuo attività di valutazione neuropsicologica e riabilitazione per i quadri di demenza o di altri deficit cognitivi acquisiti, ad esempio a seguito di malattie cerebrovascolari o trauma cranico.

La cosiddetta “demenza senile” è un concetto ampiamente superato, ossia non esiste. Per quanto la funzionalità cognitiva non possa essere la stessa di un soggetto giovane, e si incontri un parziale declino di alcune facoltà, dato da alcune modifiche cerebrali, a livello anatomo-strutturale, neurochimico e metabolico, i sintomi di un quadro di demenza non appartengono al fisiologico processo di invecchiamento: si può distinguere un sano avanzare dell’età dalla presenza di una condizione patologica interveniente. Risulta molto importante, inoltre, poter distinguere tra i sintomi di un disagio che interessa il tono dell’umore, ad esempio una depressione, o quella che viene definita “pseudodemenza” (condizione depressiva che “simula” i sintomi della demenza), e i sintomi di una demenza vera e propria, la quale comporta un deterioramento della funzionalità cognitiva. La depressione può infatti interferire con le funzioni cognitive, laddove tuttavia queste non sono realmente deteriorate, bensì non utilizzate. Potenzialmente confondibili possono essere anche le amnesie dissociative, vuoti di memoria dovuti a cause strettamente psicologiche, e non alla funzionalità cognitiva; oppure disfunzionalità di tipo attentivo – l’attenzione rende possibile l’immagazzinamento in memoria! – che possono avere varie cause.

L’intervento adeguato per una sofferenza di tipo affettivo, o per altre tipologie di problematiche, differisce di molto dall’intervento necessario nel caso di una demenza, e il direzionarsi verso certi trattamenti con un inquadramento errato del problema a monte, può risultare inefficace e addirittura aggravare le condizioni della persona: perciò risulta fondamentale una diagnosi differenziale accurata, con annessa valutazione delle funzioni cognitive.

Per quanto concerne le demenze, ne esistono svariate tipologie. Molto nota è la Malattia di Alzheimer, che costituisce appunto soltanto una delle varie forme di deterioramento cognitivo progressivo. In questi casi la visita dal Neurologo, gli accertamenti medici specialistici, le moderne tecniche di neuroimaging, sono dirimenti per individuare determinati pattern di atrofia cerebrale e altri segni che possono condurre ad una diagnosi precisa.

Tornando ai contributi della psicologia, mi sono formata nelle specifiche tecniche di intervento, di prevenzione, e di riabilitazione cognitiva in caso di accertata demenza, o di segni iniziali di malessere da discernere e trattare in modo opportuno. Sia la prevenzione nel soggetto sano, sia l’intervento nel soggetto con sintomi di demenza, possono essere di grande importanza, poiché, contrariamente a quanto si credeva fino a non molto tempo fa, la plasticità cerebrale, ossia la capacità delle reti neurali di plasmarsi e riorganizzarsi attraverso gli stimoli esterni, si mantiene per tutta la vita.

Ciò significa che la mente, sotto adeguata stimolazione, può mantenersi “forte” più a lungo, oppure è possibile ritardare la progressione di un deterioramento già in essere.

Il cervello senescente ha proprietà riparative, grazie a dei meccanismi di compensazione, e un’opportuna, mirata, stimolazione delle facoltà cognitive, può determinare dei rimodellamenti sinaptici, delle riorganizzazioni dei circuiti neuronali, quindi un potenziamento di alcune facoltà. Il fine è quello di ottimizzare il bilancio perdite-compensazione-guadagni e ampliare la cosiddetta “riserva cognitiva”.

Si possono predisporre dei training di memoria, rivolti a soggetti ancora sani o con decadimento cognitivo lieve, oppure dei percorsi ad hoc di stimolazione cognitiva, per quadri di demenza di grado lieve-moderato, la cui efficacia è sempre più segnalata in letteratura, e che, per quanto non possano riportare la persona alle condizioni precedenti all’instaurarsi del deterioramento, possono consentire miglioramenti importanti (con benefici sia sulle facoltà cognitive sia sulla sfera del tono dell’umore, motivazionale e comportamentalee un significativo ritardo delle complicanze progressive della condizione. Esistono poi altre tecniche di intervento, quali la terapia della bambola (da non intendersi come un gioco o un passatempo, poiché trattasi di una vera e propria terapia) e la terapia della validazione, che si rivelano efficaci nella gestione dei disturbi psico-comportamentali annessi alle demenze, alcuni più tipici dello stadio avanzato.

Offro inoltre un servizio di consulenza psicologica ai caregivers delle persone affette da demenza (familiari, operatori e, in generale, chi si occupa da vicino della cura della persona), rispetto alle strategie comunicative, relazionali, comportamentali, più idonee per il delicato e complesso compito di cura che si trovano a fronteggiare, e alcuni accorgimenti utili per la predisposizione degli ambienti di vita del paziente; e/o attività di sostegno per eventuali casi di distress eccessivo/“caregiver burden” (il “carico assistenziale”, che può comportare problematiche di tipo psicologico, fisico, emotivo, sociale…). Tali interventi possono determinare un significativo miglioramento della qualità di vita dei caregivers, con ricadute positive anche sul benessere dei propri cari.

⇒ In caso di necessità, effettuo consulenze e interventi anche presso il domicilio.