Psicologia clinica

Svolgo attività di valutazione psicodiagnostica, sostegno e riabilitazione, rivolte ad adulti e adolescenti che si trovano in un contesto di sofferenza psicologica, in un momento di disagio personale o relazionale, in una fase evolutiva  o in una situazione che sentono di non saper affrontare da soli.

Per la valutazione mi avvalgo, a seconda dei casi, di strumenti di testistica psicologica e del colloquio clinico. I test psicologici possono fornire dei primi indicatori utili per la conoscenza della persona, da confrontare e completare con quanto essa esprime durante il colloquio clinico. La valutazione mira per lo più alla ricostruzione, assieme alla persona, del problema che essa giunge a presentare, dei vissuti che esperisce, nonché del suo modo di essere, di muoversi e relazionarsi in diversi ambiti di vita. Questa non ha, in nessun caso, alcun valore o scopo di etichettamento, né di sostituzione rispetto a ciò che la persona E’ e prova, bensì è finalizzata ad esplorare il suo mondo interiore per comprenderne le caratteristiche, i bisogni, e fissare insieme degli eventuali obiettivi di lavoro.

Trovo molto importante sottolineare che 1. non sempre emerge una diagnosi, ossia si raggiungono i criteri e i fondamenti clinici per poter parlare di psicopatologia. A volte si tratta di aspetti di funzionamento che, a fronte di determinate contingenze, possono generare malessere, pur non costituendo patologia, oppure rimandando a una condizione subclinica; altre volte, di situazioni di transizione evolutiva, di frangenti difficili della vita, che possono generare smarrimento o sofferenza, senza per questo costituire una patologia 2. Anche di fronte ad una diagnosi, può essere utile immaginarla come un vestito “taglia unica”, che ovviamente non può andare bene per tutti. E’ importante pensare la diagnosi come NON definitoria e NON sostitutiva, casomai accessoria, della persona, come un abito che potrà essere totalmente dismesso, oppure ricucito addosso in modo da minimizzarne il disagio; e che una stessa definizione (es. disturbo d’ansia, di panico, depressivo ecc…) è orientativa, ossia, come il vestito taglia unica non può aderire indifferentemente alla conformazione fisica di qualunque persona, una diagnosi non aderisce di per sé alla vera, peculiare, realtà interna del problema.

Trovo importante parlarne, non solo per cercare di scardinare eventuali dolorosi vissuti di stigma, che rischiano di generare perdita di speranza e motivazione nel poter affrontare e superare i problemi, o l’idea, distorta, di avere un problema come congenito, per cui non esistono soluzioni, sinonimo di condanna a vita. Ma anche per una questione di efficacia degli interventi: l’intervento tarato a priori su una categoria standard di problemi (esistente solo in un manuale) e non sulla persona che incarna il problema, è destinato a fallire. Esistono certamente protocolli di intervento di documentata efficacia in letteratura per singola area critica (es. per il disturbo di panico), ma senza l’opportuna conoscenza della persona e commisurazione dell’intervento alla stessa, si rischia di non andare da nessuna parte, talvolta anzi rischiando di peggiorare la situazione.

Una volta completato il lavoro di esplorazione e ricostruzione, chiarito il problema e la domanda di aiuto che la persona porta, è possibile giungere a concordare un intervento personalizzato, fondato su un preciso razionale, laddove ne vengano appunto riconosciute da entrambi la necessità e l’adeguatezza.

Altro aspetto importante da chiarire è che non si lavora sempre o solamente su qualcosa che manca o che “non funziona”, in una mera ottica di rimozione di qualcosa di spiacevole, ma anche e soprattutto su ciò che C’E’! Ovverosia individuando risorse e maturando possibilità, delle “vie” da poter intraprendere per raggiungere certi obiettivi.  Un concetto ed un fine importante, trasversale ad ogni tipo di intervento psicologico, è infatti quello di “empowerment”, il quale indica un potenziamento della persona attraverso l’acquisizione di consapevolezza su se stessa, sulle vulnerabilità ma anche sulle risorse e il potenziale nascosto, l’aumento del senso di autoefficacia, di autodeterminazione, di autostima… il tutto confluente nel risultato finale di maggiore benessere psicofisico e relazionale.

Le Perle sono prodotti del dolore, risultati dell’entrata di una sostanza estranea o indesiderabile nell’interno dell’ostrica, come un parassita o un granello di sabbia.
Nella parte interna della conchiglia esiste una sostanza luccicante chiamata nácar. Quando il granello di sabbia penetra, le cellule di nácar cominciano a lavorare e coprire il granello con strati per proteggere il corpo indifeso dell’ostrica. Come risultato, una bella perla si formerà lì nel suo interno.