“Se mi giudichi mi cancello!” – La paura del giudizio

La paura del giudizio altrui è un’esperienza diffusa, che tutti, in circostanze e misure diverse, sperimentiamo. La cosa si può fare problematica, come in ogni storia che ha come protagonista la Paura, quando quest’ultima arriva a precluderci occasioni di incontro con gli altri e con gli eventi, di realizzare qualcosa che per noi è importante, limitando, in generale, la nostra libertà di movimento ed espressione.

Iniziamo col dire che la paura, come tutte le emozioni, ha una funzione adattativo-evolutiva, nello specifico quella di aiutare l’uomo, da sempre, a riconoscere i pericoli per aggirarli o fronteggiarli, dunque a sopravvivere adattandosi all’ambiente.  In questo senso è un’ottima consigliera! Tuttavia, alle volte può giocare dei brutti scherzi, portandoci a distorcere aspetti della realtà, a intravedere pericolo laddove non si manifesta realmente, o a sovrastimare, nella previsione, l’entità del pericolo, la sua probabilità di accadimento, le possibili conseguenze. In questi casi è più corretto parlare di “ansia”, che differisce dalla paura proprio perché il pericolo è percepito ma non attualmente presente.

Per quanto riguarda il ricevere un giudizio negativo, la possibilità che ciò si verifichi esiste certamente, tuttavia può capitare che nella previsione ci si focalizzi esclusivamente su questo rischio, mettendo in ombra l’ampia gamma di eventi relazionali positivi, o “neutri”, che invece potrebbero presentarsi. Oppure che la lettura di certe situazioni sia selettivamente negativa: in tutti noi esiste un meccanismo, definito di “attenzione selettiva”, che porta la nostra attenzione a selezionare, appunto, alcune informazioni rispetto ad altre. E il cosiddetto “bias di conferma” (o “pregiudizio di conferma”), una sorta di distorsione operata dal pensiero, consistente nel ricercare per lo più gli elementi, i dati, che confermano una nostra credenza – tralasciando quelli che porterebbero a disconfermarla – o nell’interpretare comunque qualcosa in modo che confermi le nostre ipotesi e aspettative.  Un semplice esempio: se sto presentando un mio lavoro di fronte a un pubblico, e penso che il mio lavoro sarà giudicato male, che farò un brutta figura, apparirò impreparata ecc. (attuando già, in questo modo, una selezione previsionale degli esiti!), la mia attenzione potrebbe concentrarsi selettivamente su qualcuno che sta ridendo, o sta dicendo qualcosa all’orecchio della persona seduta a fianco, e potrei interpretare questi segnali come una conferma di ciò che mi attendevo, di essere oggetto di derisione o di giudizio negativo. Al contempo, però, ignorerei altre espressioni magari di interessamento, e spiegazioni alternative alle motivazioni per cui quel qualcuno sta ridendo, o quei due si stanno parlando. Motivazioni che di fatto non conosco, a meno che non sia telepatica, e il significato che a queste attribuisco, a distanza, è un prodotto esclusivo della mia mente.

In una prospettiva evoluzionistica, il timore del giudizio deriverebbe dalla necessità originaria, ai fini della sopravvivenza, di appartenere a un gruppo: l’uomo primitivo delle società di cacciatori-raccoglitori doveva evitare in ogni modo l’esclusione dal gruppo, poiché, al di fuori di questo, le probabilità di sopravvivere erano minime. Il confrontarsi e il conformarsi agli altri membri della tribù preveniva l’espulsione e dunque una morte quasi certa. Il bisogno di appartenenza è tutt’oggi pregnante, così come i bisogni di accettazione e stima, la cui soddisfazione ha implicazioni importanti per l’identità personale e sociale,  tuttavia sono decisamente scomparse le conseguenze letali del “non piacere a tutti i membri della tribù” 🙂 Anche perché la tribù, oggi, è potenzialmente il mondo intero!

Dunque, cosa rispondere alla paura di essere giudicati?

  • Che è impossibile piacere a tutti, e il non piacere a qualcuno per qualche ragione è un’esperienza che tutti sperimentano prima o poi nella vita. Siamo tutti diversi, con opinioni, metri di valutazione, propensioni soggettive, ampiamente variabili; ciò implica che lo stesso aspetto per il quale qualcuno ci stima e ci apprezza, in qualcun altro può generare una reazione contraria, e viceversa. Pensare di evitare una valutazione negativa in ogni situazione al 100% è realisticamente impossibile, né si può controllare la mente dell’altro, qualunque cosa facciamo o non facciamo.
  • Cedere il timone alla paura e applicare sistematicamente una strategia di evitamento di situazioni, gesti, affermazioni che possono sottoporre al giudizio altrui, può avere dei costi non indifferenti, quali:

– perdere opportunità di esperienze positive, nel lavoro, nelle relazioni e nella vita in generale. Nell’intento di evitare il rischio di esiti negativi, che potrebbero anche non verificarsi, perdiamo anche la fetta di esiti positivi e una bella fetta di libertà. Attenzione alle distorsioni previsionali, attentive e interpretative del pensiero!

Impedirci di essere noi stessi e di portare la nostra vera identità nelle relazioni. Per giunta gli altri possono avvertire un senso di non autenticità, o incontrare delle difficoltà ad instaurare una relazione più intima e di fiducia reciproca.

– Alimentare l’ansia e la preoccupazione, in un circolo vizioso che nuoce alla mente e al corpo.

  • Le critiche possono essere molto costruttive! Crescere richiede anche il sapersi mettere in discussione, accogliere punti di vista diversi, non necessariamente giudicanti in senso esteso, ma magari di stimolo e di aiuto nel migliorarci in qualcosa. A volte estendiamo una critica a tutta la nostra persona, invece può essere molto utile ricondurla al singolo aspetto che l’ha generata, che non è certamente sufficiente a definirci come persone.
  • Infine, un giudizio altrui può semplicemente restare un’informazione da noi non condivisa. Possiamo ascoltarla, e poi decidere di lasciarla scivolare via. Del resto, come recita questo passo:

“Io sono io. Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative. 
Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa. 
Se ci incontreremo sarà bellissimo; 
altrimenti non ci sarà stato niente da fare.”

F. Perls

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *