Cara Ansia, ti scrivo. E ti leggo

Se l’ansia avesse il dono della parola, e potesse scrivere una lettera di presentazione, immagino che potrebbe suonare più o meno così:

Ciao, mi chiamo Ansia, e sono un’emozione. Sono nata e cresciuta nella mente un po’ più evoluta dell’uomo, la mia famiglia di origine è quella della Paura. Sono una dipendente dell’SNS (Sistema Nervoso Simpatico) e lavoro nel tuo corpo, tra i tuoi pensieri e le tue immagini. Il mio  è un mestiere molto variegato: posso farti accelerare il battito cardiaco, aumentare la sudorazione, posso tendere i tuoi muscoli, sollecitare il tuo stomaco e intestino… Di base lavoro come consulente e motivatrice: ti metto in guardia da ipotetici pericoli e, se collabori con me, posso migliorare le tue prestazioni e farti apprezzare i lati migliori dell’Adrenalina, il mio braccio destro. Nel tempo libero mi diverto a farti delle candid camera, tipo Scherzi a parte. Ti faccio spaventare, ma in realtà è tutta finzione, e spesso lo scopri per tempo!

…Lo so, altre volte ti faccio agitare moltissimo, e per questo inizi ad avere paura di me e a credere che gli scherzi che ti faccio siano la realtà. Inizi ad odiarmi, a temermi, o a vergognarti di me, a orchestrare pensieri e azioni per evitarmi. Queste tue strategie, però, funzionano come delle pompe di gonfiaggio e, se prima ero un palloncino, dopo divento una mongolfiera. E tu ti spaventi ancora di più, pur senza volerlo! Ma se ti rifiuti di conoscermi e di fare due chiacchiere con me, come posso mostrarti che in verità sono innocua, una ragazza della porta accanto, così, Ansia e sapone; che insieme possiamo fare anche cose buone, e che in fondo voglio solo il tuo bene?

Firmato:    Ansia

Bene, la nostra “amica” Ansia è stata abbastanza sincera. E’ una parente stretta della paura, ma con una sua caratteristica distintiva: mentre la paura è un’emozione primordiale che si attiva di fronte a pericoli reali immediati, l’ansia si innesca per quelle che sono percepite come minacce future ipotetiche. Si è inoltre “raffinata” di pari passo allo sviluppo della neocorteccia, la parte più evoluta del nostro cervello, quella che, tra le varie cose, ci consente di rappresentarci mentalmente la realtà, dunque anche di prefigurarla. La differenza tra paura e ansia è semplice: se subisco una rapina in strada sperimento paura, se invece esco di casa temendo di subire una rapina, sperimento ansia. L’evento-rapina ha un relativo margine di probabilità di accadimento, ma non si verifica realmente nel momento in cui vivo la preoccupazione, e potrebbe non verificarsi mai. Per questo l’ansia è spesso definita anche come “paura senza oggetto”. Tuttavia, essa è in grado di allarmarci e attivarci quanto la paura, dal punto di vista fisiologico (il cervello mobilita gli organi interni, i muscoli, il metabolismo, i sistemi sensoriali, come se l’organismo avesse davvero di fronte un pericolo, per dotarlo delle energie sufficienti ad attaccare o fuggire) e psichico.

L’ansia produce nella nostra mente delle vere e proprie candid camera, dei filmati in cui avvengono cose temibili, ma che in quel momento appartengono solo alla finzione. A volte ci rendiamo conto dell’ (auto)inganno, valutiamo che, per quanto lo scenario sia verosimile, non è necessariamente vero. Altre volte, invece, crediamo che quel filmato sia davvero una realtà che a breve avverrà, e questa è una nostra scelta di pensiero. Se si deve dare un esame e si teme la bocciatura, l’ansia ci mostra il filmato di una verosimile bocciatura. Da amica, viene a dirci che “potremmo bocciare”, come incentivo per affrontare al meglio un compito, ma non che “bocceremo sicuramente”, e che quindi qualsiasi impegno sarà vano.

Se “collaboriamo” con essa, preparandoci per superare l’esame, avremo trovato un’amica, poiché ci darà la giusta attivazione per la performance (come spiegato dalla “Legge di Yerkes-Dodson”: livelli intermedi di attivazione psicofisiologica determinano le prestazioni migliori, mentre un’attivazione troppo scarsa o eccessiva è di ostacolo). Se invece vedremo l’ansia come un ospite sgradito, portatore di cattive notizie o di uno stato indesiderabile, incontreremo un’altra serie di nemici che la “gonfieranno” e, dal palloncino che era, diventerà un’enorme mongolfiera. Due di questi nemici sono:

  • La paura o la vergogna per la propria ansia. E’ ancora diffuso un pregiudizio culturale circa la suddivisione ragione-emozione (che invece operano in concerto) e la “forza” della ragione Vs. la “debolezza” delle emozioni, soprattutto alcune. Ancor più in una società “performante” come la nostra attuale, richiedente elevate prestazioni, funzionalità, competitività, l’ansia può essere vista come un indice di disfunzione, di debolezza, di “perdente”; dunque, fonte di imbarazzo e vergogna, o timore di “non farcela”. In realtà si tratta di una fisiologica emozione con una precisa funzione adattiva, al pari delle altre emozioni, che non fa di noi né dei perdenti – anzi, può essere un prezioso stimolo per migliorarci – né dei deboli, bensì degli esseri umani.
  • Strategie protettive. Quelle che attiviamo per liberarci dell’ansia, di cui una molto diffusa, è l’evitamento. Ad esempio evitare di uscire di casa per paura di una rapina, o evitare gli esami per paura di bocciare. Se sul momento ci tranquillizzano, queste strategie hanno un effetto boomerang, tendono a far fuoriuscire l’ansia dai suoi naturali confini, a diminuire il senso di autoefficacia, ossia la percezione delle proprie capacità per affrontare efficacemente compiti o situazioni, e tolgono gradi di libertà e piacere alla nostra vita.

Leggere la “lettera di presentazione” dell’ansia, ovvero conoscerla per quello che è, come una ragazza della porta accanto nel condominio dei nostri stati d’animo, significa ridimensionare lo spazio che occupa e il potere che ha, leggere il vero messaggio che porta e lo scopo delle sue visite. Facendo un esercizio immaginativo, potremmo anzi avviare una corrispondenza con lei, chiederle di volta in volta perché è qua, come può aiutarci, come possiamo aiutarci ad affrontare qualcosa di prossimo che ci preoccupa. Imparando a ringraziarla per ciò che può lasciarci in termini di consapevolezza e funzionalità, e a congedarla nel modo più sereno quando è arrivata l’ora che torni al proprio appartamento.

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