Perché le “vie” rappresentano possibilità di trasformazione evolutiva. Vie d’uscita, sentieri di entrata, prospettive, orizzonti, nodi di scambio, nodi di unione… E in generale il senso del Possibile, del poter fare e poter essere, plasmando il sentiero come il fiume modella il proprio letto.
Uno dei concetti che ho trovato molto significativo durante la mia formazione è stato quello di “viabilità”, che sottende l’importanza della percorribilità di soluzioni e significati. Non esistono vie universalmente giuste o sbagliate, e c’è sempre un’altra via percorribile, rispetto ad una strada senza uscita: un’altra opportunità, un altro modo di vedere, sentire, fare le cose, di rileggere la propria storia e di scrivere nuovi capitoli.
(…) Viandante, le tue orme sono
il cammino e niente più;
viandante, non esiste il cammino,
il cammino si crea camminando
(…) passo dopo passo, verso dopo verso.
A. Machado
Questo concetto mi ha sempre richiamato l’immagine e il funzionamento del nostro cervello, le vie sinaptiche, il fenomeno della plasticità cerebrale, ossia la capacità del cervello di rimodellarsi nella sua struttura e funzionalità, di dar vita a nuovi circuiti neurali, attraverso l’esperienza. Contrariamente a quanto si riteneva tempo fa, oggi sappiamo che questa facoltà trasformativa del cervello perdura per tutta la vita, in un complesso meccanismo di perdite-riparazioni-guadagni.
Mi richiama inoltre una parabola indiana che mi è molto cara, intitolata “I sei ciechi e l’elefante”.
Riassumendo: sei saggi ciechi vogliono conoscere un elefante. Ognuno tocca una parte del corpo dell’elefante e, al tatto, ci identifica qualcosa di diverso.
Ad esempio: “il primo gli toccò l’orecchio grande e piatto. Lo sentì muoversi lentamente avanti e indietro. «L’elefante è come un ventaglio», proclamò. Il secondo toccò le gambe dell’elefante. «E’ come un albero», affermò.
«Siete entrambi in errore», disse il terzo. «L’elefante è simile a una fune». Egli stava toccando la coda dell’elefante.” (…)
Insomma, i sei saggi ciechi finiscono col litigare su cosa sia realmente un elefante, ognuno difendendo strenuamente la propria posizione, e non arrivano mai a conoscerlo, di fatto, integralmente.
Questa parabola può essere interpretata in vari modi, ma ciò che più ne ho tratto io è il limite ingannevole di una prospettiva unica sulla realtà, l’importanza di allargare ed integrare la visione, di non fermarsi alla prima sensazione o esperienza, o a un preconcetto, per cogliere qualcosa il più possibile nella sua interezza.
In conclusione, le Vie della Psiche sono infinite, da più punti di vista!